Focalizzazione e narratologia
Voce narrante e racconto cinematografico: come usare la focalizzazione
Benvenuti a questa nuova lezione: parliamo di focalizzazione. Termine un po’ oscuro, converrete. Proviamo ad addentrarci nel signifiacto di questa parola, magari distinguendo tra focalizzazione interna, focalizzazione esterna e focalizzazione zero.
Sappiamo che raccontare significa emozionare, certo. Ma se smontiamo la macchina emotiva? Se guardiamo dentro l’ingranaggio della narrazione? Se filtriamo la storia e la lasciamo asciugare? Non è difficile capire quale è il fine principale del racconto. Ogni storia procede per step successivi, e ad ogni passo il lettore / spettatore acquisisce nuove informazioni. Ecco: raccontare significa – sintetizzando al massimo – fornire informazioni.
Focalizzazione e voce narrante
Prima del talento narrativo, prima della capacità di suscitare interesse, cosa c’è? Partecipazione, compassione, il compito di chi rappresenta le proprie idee attraverso un medium come il cinema sta nel saper fornire notizie. Tracciare relazioni, suggerire ragguagli.
La focalizzazione è un espediente narrativo che permette all’istanza narrante di divulgare informazioni più o meno esaustive.
Ovviamente il narratore – essendo teoricamente anche ideatore e/o sceneggiatore della storia – potrà disporre di una completa percezione degli avvenimenti. Tuttavia solo in alcuni casi queste verranno fornite a chi sta dall’altra parte dello schermo.
Infatti lo spettatore potrà talvolta sapere soltanto una parte delle cose (perché queste saranno le sole che gli verranno mostrate).
In altro casi, invece, istanza narrante e spettatore saranno accomunati da una medesima conoscenza dei fatti.
Focalizzazione esterna
Cosa succede quando cioè lo spettatore dispone di informazioni parziali o frammentarie? Oppure quando ci vengono presentati personaggi nelle sole esperienze esistenziali che essi vivono (senza attardarsi in riflessioni, suggestioni, pensieri ecc.)? In questo primo caso siamo di fronte a quella che si definisce una focalizzazione esterna.
In questo tipo di narrazione, la mente e le idee dei personaggi sono preclusi alla voce narrante, quindi nemmeno lo spettatore ne è a conoscenza.
La storia si occupa dunque delle semplici vicende cui i personaggi sono sottoposti, e riporta i fatti come fossero una testimonianza.
Questo atteggiamento – tipico di alcuni generi narrativi legati al mistero e alla suspense – genera una discrepanza tra i personaggi (che oggettivamente sanno cose cui i i lettori o spettatori non possono accedere) e il giudizio che si può avere di loro.
Focalizzazione interna
Se invece l’istanza narrante decide diassumere il punto di vista di un personaggio – o al limite di più personaggi in vari momenti della storia – condividendo di volta in volta pensieri e riflessioni con lo spettatore, ecco che siamo di fronte a quella che viene chiamata focalizzazione interna.
Pensiamo ad una biografia, ad un romanzo epistolare oppure ancora – per essere più cinematografici – a quei film dove la voce della narrazione passa sempre attraverso un solo personaggio e attraverso la sua visione intellettuale e morale, giusta o ingiusta che sia.
Focalizzazione zero
Esiste un terzo caso, in cui il narratore, e quindi lo spettatore, sono onniscenti. sanno insomma tutto di tutti, come delle vecchine ben informate. Questa si chiama focalizzazione zero.
In questo caso si decide di fornire tutte le informazioni disponibili sui personaggi e sulla storia (compresi i loro punti di vista, le loro opinioni ecc.) ed addirittura spesso si arriva a giudicare i personaggi, la loro visione morale, i loro comportamenti.
Strategia di focalizzazione
Questa distinzione – formalizzata da alcuni critici, tra cui Gerard Genette ma applicata nella narrazione da sempre – ha originato opzioni inconsuete ed hanno permesso lo sviluppo di generi letterari o cinematografici assai particolari. Pensiamo al giallo, al romando poliziesco, al thriller. Attraverso un sapiente dosaggio della conoscenza è facile comprendere come produrre effetti di suspense, tensione, incertezza, ambiguità e così via.
Alle categorie genettiane si sono via via aggiunti i concetti di ocularizzazione (Jost) e polarizzazione (Gardies). Lo studio sulla materia narrativa ha permesso di individuare e decifrare casi particolari, che riassumono altre eventualità di sceneggiatura, ed infittiscono ancor di più lo spettro delle relazioni possibili.
Attraverso il dosaggio e l’emersione delle informazioni, quindi, è possibile arricchire la storia di spunti creativi e peculiarità.
Immaginiamo di assistere ad un racconto: ci aspetteremmo di conoscere tutto quello che sa il narratore. Durante il film, però, scopriamo che alcuni particolari della vicenda sono stati omessi. Oppure – più divertente – sono noti soltanto ai personaggi (quindi sconosciuti anche all’istanza narrante).
In questo caso ci troviamo di fronte alla cosiddetta “parallissi”, ovvero una trasgressione della dominante prospettica. Un sistema di racconto che permette ai personaggi di godere di una coscienza storica superiore a quella di chi racconta.
Questo – è facile intuirlo – introduce la possibilità di moltiplicare le suggestioni narrative. Al punto di estromettere l’istanza narrante dal ruolo di dominazione che le sarebbe (quasi sempre) assegnato.
Una intelligente ed arguta distribuzione del patrimonio di conoscenze, non si esaurisce però in logore sperimentazione di facciata. Al contrario, progettare elementi di focalizzazione in linea col plot delle vicende è essenziale per programmare un convincente svolgimento della trama ed un’altrettanto energica caratterizzazione dei personaggi.
Persone con visioni parziali
Significato e climax delle scene girate trarranno vigore da un’attenta gestione delle informazioni. E la storia sembrerà rispecchiare i sistemi di pensiero tipici degli esseri umani. Persone che quasi mai possiedono lucidità e capacità di previsione sufficienti ad immaginare gli avvenimenti in modo neutrale, definito e complessivo.
Come noi, anche i personaggi delle nostre storie dovranno soffrire di parzialità del giudizio. E dovranno riassumere in sé tratti di fallibilità vicino ad elementi di grande scaltrezza.
Saper gestire queste variabili in modo efficace fa dei nostri protagonisti degli esseri umani ambigui. Personaggi molteplici, dotati di chiaroscuri come effettivamente le persone sono.
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Film consigliati:
La finestra sul cortile (Rear window, Usa, 1954) di Alfred Hitchcock
Bubble (Usa, 2003) di Steven Soderbergh
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Hai centrato il punto: ho visto fin troppi corti girati senza nessuna coscienza delle tecniche e dei metodi.
Uno strumento utilissimo. Moltissimi sceneggiatori fanno credere una cosa fino a poche inquadrature dalla fine, poi ribaltano tutto.
Alex Marin
Sono d’accordo: diamo forza e credito agli autori che non si limitano a scrivere “genericamente” ma hanno capito ed utilizzano gli strumenti propri del cinema.
Bellissimo articolo. Grazie.
Nando de Ambroggi
Grazie davvero, i complimenti fanno sempre molto piacere. Attendo tuoi feedback sugli altri articoli!