L’ombra e le sue funzioni
Come gestirle per creare immagini video efficaci attraverso l’ombra
Eccoci alla seconda puntata del tutorial sull’inquadratura dinamica. Questa volta Fabrizio Fogliato ci racconterà come gestire e interpretare uno dei fattori chiave della fotografia cinematografica: l’ombra. Come sappiamo, il cinema è essenzialmente luce. Non soltanto perché convenzionalmente è attraverso la luce che si raccolgono le immagini. Ma soprattutto perché l’immagine cinematografica trova il suo fondamento e la sua espressività particolare proprio nella luce.
Grandi maestri, nell’arte dell’illuminotecnica e della fotografia, sono sempre stati gli italiani. Un popolo di grandi professionisti costretti il più delle volte a lavorare all’estero per la sordità del contesto nazionale che offre pochi spunti di eccellenza e ancor meno occasioni di sperimentazione. Ma questa, come si dice, è un’altra storia. Vi auguro buona lettura.
L’ombra e le sue funzioni
Spesso, erroneamente, si ritiene che nel cinema l’illuminazione coincida solo con la luce e con il suo utilizzo. Le tre luci base, cioè la key light, la fill light e la back light determinano la potenza espressiva della luce. Nel cinema classico, ma non solo. Eppure queste non bastano a determinare i processi di significazione e coinvolgimento emotivo dello spettatore.
Sono soprattutto gli effetti luminosi, nati dalla combinazione delle tre luci, a dare significato, profondità e complessità all’inquadratura.
Lo stesso discorso, seppur in forma diversa vale anche per il cinema contemporaneo. L’utilizzo combinato di luci dinamiche e tecnicamente elaborate, se utilizzato con intelligenza, può determinare gli stessi effetti che nel cinema classico.
Nel genere noir, cardine fondamentale del cinema classico, vengono immancabilmente associate realtà e sogno. L’elemento onirico è legato a quello del turbamento mentale, pertanto il sogno diventa sintomo manifesto di un malessere interiore che, non a caso, spesso e volentieri si trasforma in incubo.
All’interno delle dinamiche di questo genere, diventa fondamentale l’utilizzo della luce e delle sue componenti. Ma è, addirittura imprescindibile l’utilizzo studiato di una di esse: l’ombra.
Realizzata attraverso una studiata impostazione di derivazione fotografica, l’ombra nel noir diventa materializzazione tanto del doppio quanto del sogno/incubo.
Il valore dell’ombra nel noir
Prendiamo ad esempio uno dei primi noir della storia del cinema. Il raro I wake up screaming (Situazione pericolosa, 1941) di Bruce Humberstone.
In tutta la prima parte del film, l’ombra viene utilizzata come elemento amplificatore dell’istanza narrante, conferendo alle immagini una visionarietà straordinaria. Questa combinazione aumenta l’impatto del contenuto psicologico della scena.
Emblematica, a tal proposito, è l’inquadratura che racconta l’interrogatorio del protagonista Christopher alla stazione di polizia.
Il suo volto in primo piano, posto sulla destra dell’inquadratura ed affiancato ad una lampada, definisce in profondità di campo la silhouette nera di un uomo misterioso.
Trasformando la sua figura in una minaccia e in un incubo che gravano sul protagonista. L’individuo sullo sfondo si rivelerà essere niente meno che il commissario incaricato delle indagini.
L’ombra come mappa dei significati
Tutta la prima sequenza di questo film, ambientata nella stazione di polizia, è percorsa da ombre di persone e di oggetti che si proiettano sulle pareti. E le inferriate presenti nei vari uffici proiettano la loro ombra minacciosa e distorta intorno agli individui protagonisti della vicenda, trasformando l’ombra stessa in proiezione dell’angoscia e della paura di essere chiusi in una trappola.
Anche in un’inquadratura apparentemente marginale (come quella in cui la protagonista è chiusa in casa intenta nelle faccende domestiche) l’ombra assume un significato particolare e determinante. In campo medio vediamo la protagonista appoggiata alla parete sulla destra dell’inquadratura. Mentre di fianco a lei sulla parete si proietta l’ombra minacciosa di Cornell.
L’inquadratura assegna alla donna e all’ombra del poliziotto la stessa dimensione. Quasi come a voler rappresentare una sovrapposizione tra colpa e senso di colpa.
Scena fondamentale per capire ulteriormente l’importanza dell’ombra è quella “dell’apparizione” notturna di Cornell in casa di Christopher.
Mentre sta dormendo l’uomo si sveglia di soprassalto ed esclama: “Mio Dio è la prima volta che faccio un incubo ad occhi aperti”. Vede di fronte a lui l’immagine imponente di Cornell seduto sulla poltrona: l’atmosfera della scena è ambigua divisa tra realtà e sogno.
Dalla destra dell’inquadratura di fianco a Cornell proviene la luce intermittente dell’insegna di un motel (altro richiamo al sonno). Mentre alle sue spalle sul separé c’è l’immagine di una pantera pronta a ghermire la preda, e le ombre tratteggiano le linee chiaro-scure di una prigione.
Cornell vestito di nero appare quasi come una macchia, mentre il volto della donna (la vittima) nel ritratto accanto a lui è illuminato in modo innaturale. Tutte scelte che conferiscono a questa scena il significato di una trappola che sta per scattare ai danni di Christopher ma che forse è solo proiezione del suo senso di colpa.
L’ombra nella fotografia di Storaro
L’utilizzo del colore non inficia le potenzialità dell’ombra come dimostra l’analisi di due sequenze del film Il Conformista (1970) di Bernardo Bertolucci. Nel quale la fotografia è diretta dal grande Vittorio Storaro.
In una delle scene iniziali, l’uso dell’ombra appare chiaro. Nella scena dell’incontro tra Marcello Clerici e Giulia, sulle pareti si proiettano le linee orizzontali delle veneziane. Queste rappresentano in modo stilizzato l’ambiguità di entrambi i personaggi e il precario equilibrio della loro relazione opportunista.
Le ombre, in questo caso, sono addirittura in movimento, e conferiscono alla scena (ordinaria e normale), una sinistra inquietudine.
Pertanto, in questo caso, è l’ombra che manipola il contenuto della scena. Che altera la percezione dello spettatore, snaturando addirittura l’apparente atmosfera idilliaca e ridanciana che anima l’incontro amoroso.
Creare similitudini sensoriali attraverso l’ombra
Bertolucci ricorre ad un interessante espediente. Per traslare nello spettatore il concetto di cecità che anima la natura conformista di Marcello Clerici. Mentre i due rievocano una lezione universitaria sul mito della caverna narrato da Platone, Marcello chiude le imposte delle finestre dello studio. Dalla finestra di destra socchiusa entra un fascio luminoso, tagliente che illumina o oscura i due protagonisti a seconda del loro movimento.
Quando Quadri compare di spalle davanti alla finestra vediamo solo la sua silhouette. Questa è la appresentazione della sua mancanza di personalità, mentre Clerici è per metà illuminato e per metà oscurato, rappresentazione della sua doppiezza.
I due parlano, ma in realtà non comunicano. E mentre Clerici prosegue nel parallelismo tra Platone e il fascismo, ad un certo punto si prodiga in un saluto romano. Di cui lo spettatore vede solo l’ombra proiettata sulla parete.
Luce e ombra, visione e cecità vengono bruscamente interrotte quando il professor Quadri apre nuovamente la finestra. Fa entrare la luce nella stanza e l’ombra di Marcello, proiettata sul muro, scompare definitivamente. Mentre Quadri comincia così il suo discorso: “Mi scusi Clerici, ma un vero fascista non parla così…”.
Due semplici esempi per capire l’importanza dell’ombra e per vedere come essa sia indissolubilmente legata alla macchina-cinema.
Da elemento moltiplicatore ad elemento significante, l’ombra è un parametro potenzialmente infinito. Uno stratagemma con cui è possibile continuamente manipolare la realtà e alterare la percezione di chi guarda.
Film consigliati:
Il conformista (Italia, 1970) di Bernardo Bertolucci
Ogni marchio ed ogni immagine vanno intesi a scopo di esempio didattico e appartengono ai legittimi proprietari.
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Grazie Fabrizio: ho letto molte cose interessanti.
C’entra qualcosa la cosiddetta “luce alla Rembrandt”?
Maurizio
Ciao Maurizio,
rispondo io al posto di Fabrizio. Illuminazione alla Rembrandt: grande elemento narrativo per enfatizzare il rapporto drammatico degli elementi della storia.
Troppo spesso i filmmaker italiani dimenticano le possibilità della luce nonostante – per paradosso – siano proprio italiani i grandi direttori della fotografia…
Una grande tradizione culturale che rischia din estinguersi…
Continua seguirci!